L’ombra dell’aereo si proietta come quella di un gabbiano ad ali spiegate sopra il mare turchese che si scioglie in onde bianche sopra la spiaggia. Prima che tu te ne renda conto sei atterrata su Marte. Il respiro delle coste africane arriva qui, come il profumo delle mandorle tostate. La luce di gennaio è dorata e intensa sulla terra dove crescono le piante che amano la terra arida e polverosa del deserto ma anche le notti gelide. Dalla bellezza cruda del sud, emerge Benidorm come una surreale New York di un romanzo apocalittico. Un miraggio senza senso con i grattacieli bianchi come ossi di seppia sulla spiaggia o come pinne di squalo all’orizzonte.
Forse è questo il nucleo di questo circuito. Da sempre mi è apparso così fuori luogo da non sembrare nemmeno reale. Non siamo cosi anche noi? Sempre impacciati come se non riuscissimo mai a trovare la combinazione giusta, l’abbraccio dove sentirci interi senza dubbi, senza pezzi che restano qua e là o parti che si sbriciolano come un baratro che si apre sotto ai piedi.


La luce nel bosco di larici è di quelle che vedi quando apri gli occhi dalla siesta e il mare è pieno di luccichii. La terra sa di sole e di ombra. Questo è sempre troppo diverso dal ciclocross al quale siamo abituati per capirlo fino in fondo. I bambini scovano legni e li battono un sull’altro come dei veggenti. Cosa leggono? Cosa scrutano mentre la corsa sguscia di qua e di là, prima in una doppia curva, poi su un rettilineo? Quando vedi Thibau Nys in diagonale che sembra un disegno di Leonardo ti torna prepotente la domanda: stile o potenza?

Rispondere entrambi è facile. Ma la verità è che la potenza è niente senza lo stile. Ci ricordiamo così di un’azione per come l’abbiamo vista, una pennellata ben fatta, il marmo dove vedi le vene e ti sembra di vederci pulsare il cuore. Non è forse l’arte a farci sopportare il caos?
Così quando un corridore si piega come una libellula contro il sole, sei sicuro di voler rimanere per vedere come va a finire.
Forse restiamo perchè ancora abbiamo la sensazione che questa storia non abbia una fine.


“Che bello il tuo unicorno” dico alla bambina che sta aspettando di salire sull’aereo, indicando il peluche che tiene come un animale da compagnia. Sua madre sorride mentre confida che è bello sentir parlare italiano dopo tanto tempo. Che si è pentita di essersene andata dall’Italia. “Questa lingua è come una musica.”
In realtà poi ci penso per tutto il viaggio di ritorno, anche mentre guardo i puntini in mezzo al buio delle case sperdute nel nulla. Anche quando vedo le stelle all’altezza dell’ala.
Non sono molte le cose nella vita che sono come una melodia. Quando ci accorgiamo di loro, bisogna fare di tutto per non perderle mai.